Ferrara “espropriata” di un suo grande personaggio
Macché d’Arezzo!
Ricorre il millesimo anniversario della più grande invenzione della storia: quella delle note musicali, legate al monaco Guido. Gli aretini se ne sono appropriati, ma l’ultimo libro di Sergio Bernacconi dimostra che le sue origini furono assolutamente “Pomposiane”. Ma a Ferrara nessuno sembra desideroso di rivendicare questa eccezionale paternità.
Guido d’Arezzo, musicista vissuto tra il 990 ed il 1050. L’importanza della sua opera sta nel fatto di aver coordinato e completato i tentativi prece denti di dare chiarezza e precisione all’insegnamento della musica ed all’interpretazione della notazione neumatica. Così si esprime, per sommi capi, l’Enciclopedia Italiana su quello che e universal mente riconosciuto come l’inventore delle sette note musicali. Ma Guido d’Arezzo era veramente di Arezzo? La stessa enciclopedia, dopo averne ribadito il luogo di nascita, dice che la sua gioventù si svolge nel monastero di Pomposa, e se pensiamo alla difficoltà dei collegamenti attorno all’anno 1000, diventa difficile capire come un giovinetto, forse poco più che bambino, abbia potuto attraversare due vaste regioni, una catena montuosa e delle paludi di dimensioni di tutto rispetto, per finire a fare il monaco a Pomposa. La domanda tutt’altro che peregrina sulle origini di Guido viene posta ora da Sergio Bernacconi, giornalista e scrittore, ferrarese d’adozione, con un breve saggio inserito nel suo ultimo libro “Un gatto sul Parnaso” (SATE, Ferrara, 1989).
Secondo Bernacconi, quell’indicazione di Aretinus (d’Arezzo) è una pura mistificazione in quanto i documenti precedenti al 1500 indicano sempre un Guido pomposiano (… sient Guido pomposianus docet), ma soprattutto lo stesso monaco si firma “lo, Guido, nato nel territorio di Pomposa” (Ego Guido in pomposiano pago exhartus). Per quale motivo allora Guido pomposiano ad un certo punto è diventato d’Arezzo? E’ sempre Bernacconi che prosegue nella sua ricostruzione e spiega che ad un certo punto l’invidia e la gelosia dei suoi confratelli lo spinsero ad abbandonare Pomposa (su questo aspetto concorda anche la citata Enciclopedia) e Guido si recò ad Arezzo dove l’Abbazia aveva delle proprietà e dove il vescovo Teobaldo, interessato alle nuove regole pedagogico musicali, lo ospitò e gli permise di approfondire gli studi.
Dopo il periodo trascorso ad Arezzo, Guido raggiunse Roma, dove ebbe occasione di incontrare il suo abate pomposiano. La nostalgia per i luoghi della giovinezza e I’esortazioni dell’Abate lo convinsero a tornare, anche se non è certo che il ritorno sia avvenuto realmente. A mille anni dalla nascita, dice Bernacconi, sarebbe ora di riscoprire in pieno questo “cittadino” sempre dimenticato. Ben pochi a Ferrara sanno dove sia via Guido d’Arazzo. Una via collaterale, quasi nascosta. Mentre Arezzo, a questo “grande”, ha giustamente dedicato la sua piazza principale. Mai un convegno di studi in suo onore ma, finora, solo una serata conviviale al Rotary di Comacchio. ln questa ricorrenza sarebbe forse il caso di stabilire con sicurezza la realtà storica sulle origini di Guido, se egli fosse veramente aretino – e in questo caso, come dice Bernacconi, diventa difficile comprendere come mai sia entrato a Pomposa a soli 12 o 13 anni, dichiarandosi originario di quella zona, – o se sia ferrarese – ed in questo secondo caso bisogna riconoscere agli aretini il merito di aver saputo vendere meglio la loro mercé valorizzando appieno un personaggio ed un’opera che meritavano di essere valorizzati. Ma in fondo -conclude l’autore – per ricordare e onorare un uomo non c’è bisogno di conosceme il certificato di nascita, soprattutto se si tratta di un uomo della cui opera ha beneficiato tutta l’umanità.
(Alessandro Fabbri)
Le altre scoperte di Bernacconi
Le tre donne di Leonardo. La singolare storia di un gatto.
La rivendicazione su precise basi storiche dei natali ferraresi, più precisamente “pomposiani”, di Guido d’Arezzo, l’uomo che mille anni fa inventò le note musicali fra i claustri della mitica Abbazia del Delta, non è la sola scoperta dell’ultimo libro di Sergio Bernacconi, decano del giornalismo ferrarese, “Un gatto nel Parnaso” (edizione Sate). Già alcune settimane fa avevamo attinto da un capitolo di questa interessante raccolta di saggi, per illustrare la “deontologia delle puttane” così come la descrisse uno scrittore libertino del Seicento, decapitato dall’Inquisizione, Ferrante Pallavicino, un altro personaggio di cui si è occupato Bernacconi. Nello stesso volume l’autore ferrarese tocca altri argomenti culturalmente stimolanti: le tre donne della vita di un genio che non amava le donne. Il genio è ovviamente Leonardo; le tre donne della sua vita, descritte da Bernacconi, sono la madre Caterina, la celebre Monna Usa e Margherita d’Angoule-me, sorella del Re di Francia. L’avversione di Leonardo per le donne derivò in gran parte dai sentimenti d’avversione per l’amore fisico trasmessogli dalla madre, una giovane e timida cameriera, sedotta ed abbandonata da un ricco notaio, sor Piero da Vinci, il vero padre di Leonardo, nato quindi illegittimo. Caterina fu costretta dalla ricca famiglia del suo seduttore a sposare, per evitare lo scandalo, uno dei mezzadri al servizio dei Vinci, un tale Attaccabriga del Vacca. L’avversione di Leonardo per le donne non si trasformò in omosessualità, secondo Bernacconi, ma piuttosto in una sostanziale castità, o meglio indifferenza per la sessualità. L’altra donna della sua vita, Monna Lisa, figlia di Antonio Gherardini, terza moglie di Francesco del Giocondo (da cui l’appellativo “la Gioconda”), signore fiorentino. Monna Usa posò quattro anni per Leonardo. Ed il loro fu un rapporto “angelicato”, contemplativo. Infine Margherita, sorella di Re Francesco I, donna letterato e scrittrice, protettrice di Leonardo e sua compagna di speculazioni culturali, fino alla morte del grande di Vinci, avvenuta il 2 maggio del 1519. Bernacconi nel suo libro si è dedicato anche a Marinetti, il padre del futurismo italiano; a Trilussa, che come Marinetti egli conobbe personalmente; ed alla fede di Lourdes vista attraverso gli occhi di tre grandi intellettuali Zola, Carrel e Montherlant. Infine Bernacconi ha dedicato un capitolo anche al “gatto” (da qui il titolo del libro), definito un amico difficile, un ospite di riguardo. Ad un gatto particolare, di nome Cleopatra, lo stesso Bernacconi ha dedicato l’intero libro: “E’ una tenera gattina che io e mia moglie trovammo una mattina davanti alla nostra porta. Fu lei ad adottarci, e non il contrario. Vive ancora fra noi come un piccolo mostro fatto di velluto, di amore e di energia. In fondo è sempre una tigre anche se travestita da gatto…”. Ed in copertina, accanto ad un’illustrazione del Parnaso, figura un mitico monile egizio a forma di gatto. “E’ un reperto di tremila anni fa. Me lo regalò un amico archeologo. Mi ha sempre portato fortuna. Gli egiziani la ritenevano una divinità protettiva. Spero che porti fortuna anche al mio ultimo libro”.
E’ un libro che s’inizia e si finisce senza potersene staccare. Il segreto o nella formula: vero amore per la storia e vero giornalismo vissuto. (Andrea Musi).
(tratto da “La nuova Piazza”, 21.7.1989)
Views: 40