Esce in questi giorni, ma avrà presentazioni in vari luoghi ed in tempi diversi, il libro edito da “La Torre” nella Collana Etnopharma (Torino) opera di Cesare e Maurizio Giovanni Grandi. Un testo che ripercorre, insieme con la storia del territorio del lungopo di Ariano e Serravalle, nella località Valline, la storia della famiglia Grandi.
Un libro di 232 pagine, ben illustrato e gradevole nelle varie sezioni che parlano di luoghi, personaggi, situazioni. Un poderoso riferimento con buona e valida documentazione pure all’eccidio di Ponte Albersano, di cui si celebreranno i 120 anni nel 2021 anche attraverso queste belle e interessanti pagine.
Il libro contiene una mia Prefazione, che sono onorato di aver redatto e che trascrivo di seguito.
Ho accolto di buon grado la cortese richiesta del Prof. Maurizio Grandi di esporre alcuni pensieri in relazione al testo sulla sua famiglia e sulle vicende del nonno Cesare: quasi una epopea, scritta con encomiabile impegno e con il giusto trasporto emotivo, che tuttavia non inficiano la corretta impostazione storica, sociale e territoriale del libro.
La memoria, inquadrata nei contesti che ne significano doverosamente il valore, aiuta a delineare, senza zuccherose nostalgie, gli aspetti più ragguardevoli delle vicende singole così come di quelle familiari e comunitarie, tutte protese a insegnare che la vita non scorre invano. Il passato infatti aiuta a capire come siamo stati, e non rifugge dal farci intendere a quali mete possiamo aspirare.
Il lettore si renderà conto, fin dalle prime pagine, che l’intento era quello di far comprendere come le radici affondino nella memoria. Di qui il largo spazio dedicato alla storia antica ed anche a quella più a noi vicina, fino alle bonifiche estensi e a quella ultima, ormai a fine Ottocento dopo il disastro della rotta del Po a Guarda.
Così come i toponimi di luoghi e possessioni agricole, ed anche gli spostamenti stagionali, le transumanze. Ben si capisce che lo scopo, come s’è detto poc’anzi, non è solo quello del fermare nostalgicamente i ricordi, ma quello della tensione a far intendere che il futuro può essere più consapevole e migliore per tutti solo riuscendo a coltivare e a fortificare le nostre radici. In fin dei conti sta tutto qui l’intento del libro: esercizio importante, direi fondamentale, che ha animato il Prof. Grandi nella salvaguardia della memoria dei luoghi e della sua famiglia nella concomitante e contestuale ricerca della comprensione degli avvenimenti.
Insomma un intento etico che si spinge oltre quello didascalico, della narrazione e della annotazione bibliografica ed archivistica.
In tale operazione, condotta con lodevole tenacia, si è inquadrata la “storia” nella “Storia”. In buona sostanza qui si è posta attenzione con acribia a quella Storia, che scriviamo con l’iniziale maiuscola, e che può essere tale non solo con re e imperatori, con presidenti e dittatori, con generali, truppe, guerre, pestilenze, e con le trasformazioni economiche e sociali, bensì con l’apporto sempre dignitoso, indispensabile ed unico degli “umili”, talora a torto definiti “i senza storia”.
Mi sia permesso poi evidenziare un altro aspetto. Questo testo è completo ed esauriente perché in esso è presentato lo scorrere del tempo in un’area di grande interesse come quella deltizia, suggestiva ma ancora oggi conosciuta più nella sua evoluzione geomorfologica che in quella umana, politica, economica e religiosa.
Gli abitanti di queste lande ferraresi, in relazione alle tante vicende politiche ed economiche, sono stati protagonisti di fatti determinanti, suffragati purtuttavia da sofferenze e fatiche indicibili. Mi piace qui citare, fra le tante opere meritevoli di attenzione, il bel romanzo di Massimo Felisatti e Marco Leto, O dolce terra addio (Rizzoli, 1987), dove pure si parla delle zone della bassa ferrarese e dei tragici fatti di Ponte Albersano del 1901 nel complesso panorama rappresentante l’epopea di famiglie contadine che dopo tenaci lotte, volte a difendere i diritti dei miseri, furono obbligate a emigrare per sfuggire agli spettri della disoccupazione, della sottoccupazione, della fame, della miseria, dell’analfabetismo. Così come si fuggì, nel novembre 1951, dal Polesine invaso dalle acque della rotta del Po a Occhiobello. Ed ancora, l’abbandono delle campagne per riversarsi nel triangolo industriale negli anni del “boom” economico.
Il Po, il fiume che ha segnato la vita di generazioni, qui è ancora padre e padrone. Più in particolare il ramo ora detto di Goro, ma sempre chiamato nei secoli scorsi “Po d’Ariano” e ancora oggi, popolarmente, il “Po piccolo”, sulla cui sponde destra, in quel lembo di terra, fra Serravalle e Ariano ferrarese, sta la zona “Valline”, culla e feudo della famiglia Grandi, che alcuni secoli or sono i notai e i funzionari civili e i sacerdoti di qua e di là dal Po identificavano come terra “a latere Serravallis” (dal lato di Serravalle).
La presenza di un corso d’acqua ha sempre costituito per l’uomo un valido motivo per collocarvi appresso i propri insediamenti, teatri di vicende singole e comunitarie significative. Infatti questo libro del prof. Grandi segnala come molti, in seguito a ripetuti avvenimenti, territoriali e politici, si siano sottratti con caparbietà ad una posizione di marginalità umana nella quale le genti di questa parte d’Italia sono state confinate per secoli.
Campagne prede di paludi mefitiche. Acque stagnanti periodicamente ambienti di vita ideali per canna palustre e paviera. Grazie a chi è rimasto, questi luoghi hanno lasciato il posto a campi feraci e le terre redente dalle bonifiche, prima naturali poi meccaniche, accolgono ora piantagioni intensive e colture all’avanguardia: segni di una agricoltura sempre più moderna ed economicamente più evoluta.
L’augurio sgorga spontaneo: questo testo deve essere letto e meditato. Lo dico da amante e ricercatore di storia locale, ben consapevole che, quando si scrive di una famiglia tentando di illustrarne le vicende segnate da ricordi e dal dipanarsi degli anni, l’azione può essere sbrigativamente liquidata come semplice opera di recupero. Non è così, o meglio: non è sempre così. Il testo del Prof. Grandi deve essere letto e meditato, soprattutto dai giovani. Essi devono guardare a chi li ha preceduti, a chi è vissuto prima, con la consapevole speranza che il passato non è mai chiuso per sempre.
Il passato è appena dietro l’angolo delle nostre frenesie quotidiane e vuole essere conosciuto. Lo vuole perché solo così può aiutarci a definire la nostra attuale identità. Per progettare e vivere serenamente il futuro di tutti e di ciascuno.
Serravalle (Ferrara), estate 2020
GR
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