Berra – Si è conclusa sabato 29 giugno, nella sala consiliare del Comune di Riva del Po, la due giorni organizzata dall’Associazione Cultura e Spettacolo Berrese (Acs) per celebrare il ricordo dei sanguinosi fatti di Ponte Albersano.
Questa seconda parte ha avuto come “oggetto” il quadro che 50 anni fa Ernesto Treccani donò alla allora Amministrazione guidata dal sindaco Sandri Socrate.
Al tavolo d’onore il neo-eletto sindaco, dott.ssa Daniela Simoni, il dott. Giovanni Raminelli, il dott. Diego Cavallina, la relatrice, storica dell’Arte, dott.ssa Enrica Domenicali e il presidente Acs Mauro Tumiati.
Dopo i saluti e i ringraziamenti del Presidente Tumiati, l’introduzione dell’evento è stata affidata al dott. Raminelli il quale ha spiegato la situazione storica del momento che ha preceduto l’eccidio del 1901, per giungere, quindi, alla mattina del 27 giugno, offrendoci, attraverso il suo racconto, una potente, ma allo steso tempo umile immagine di Calisto che procede sul ponte, col cappello in mano in segno di rispetto, col passo, immagino, deciso, ma timoroso verso chi aveva le armi in mano, per chiedere “di non morire di fame”, per chiedere che il lavoro suo e degli altri braccianti fosse ripagato meglio, per chiedere un corretto corrispettivo del loro sudore e delle loro fatiche. Ma non ottenne nulla, non poté dire nulla perché la sua richiesta di parlamentare non fu accolta, nemmeno ascoltata: per tutta risposta il tenente De Benedetti ordinò ai soldati di fare fuoco. Morì in loco Calisto, morì in loco Cesira, mori qualche tempo dopo Fusetti e tanti rimasero feriti nonostante diversi soldati avessero tentato di evitare di sparare, avessero mirato altrove: si dice che furono troncate le falangi di un soldato che dichiaratamente si era rifiutato di sparare sui concittadini.
Il coinvolgente racconto del dott. Raminelli è continuato col resoconto del dott. Cavallina relativo al dono della tela, riferita all’eccidio, da parte di Ernesto Treccani all’Amministrazione Sandri; una tela che, da allora, è possibile ammirare in sala consiliare. In quell’occasione venne fatto un convegno dal titolo “Le arti figurative nella storia del movimento operaio e democratico” che vide tra gli ospiti il senatore Giorgio Amendola e la deputata comunista Nives Gessi, già segretaria provinciale delle Federbraccianti a Ferrara. Fu la deputata Gessi che chiese al maestro Treccani di dipingere la tela e la richiesta non solo venne accolta, ma il pittore, per comprendere i luoghi e le atmosfere, per entrare meglio in sintonia con le persone che abitavano i luoghi in cui i fatti si svolsero trascorse diversi mesi ospite nelle nostre terre.
A questo punto la parola è passata all’ospite d’onore, la dottoressa in Materie Letterarie, con specializzazione quale storica dell’Arte, Enrica Domenicali, berrese di nascita, che per lungo tempo ha lavorato in provincia ed ha concluso la sua attività lavorativa in quel di Faenza gestendo con plauso, come responsabile, Palazzo Milzetti.
La dottoressa Domenicali ha sottolineato questo bisogno di empatia dell’artista col substrato sede degli eventi da rappresentare, una necessità che prevedeva ore di lavoro con la stesura di bozzetti e disegni preparatori dai quali si ricavò una mostra a Palazzo dei Diamanti curata dal dott. Franco Farina che al tempo ne era il direttore.
La dott.ssa Domenicali ha quindi raccontato quello che era il panorama artistico e sociale a cavallo tra ‘800 e ‘900. Nel suo excursus ci ha fatto conoscere personaggi interessanti quali Paolo Maranini e Rina Melli. Il Maranini, originario di Coccanile, fu direttore del quindicinale “La Scintilla” e a lui si deve l’organizzazione degli scioperi del 1901 nel ferrarese. La sua compagna Rina Melli, definita all’epoca ”piccola apostola del socialismo”, non fu da meno e fu spesso presente nelle campagne, nelle comunità di braccianti sfruttati a parlare per renderli coscienti che insieme si poteva far qualcosa al fine di migliorare la loro condizione lavorativa. Questa sua attività di denuncia e conoscenza arrivò sino alla creazione di un giornale “Eva” dedicato alle donne e in cui spingeva allo sciopero come arma per ottenere il riconoscimento di diritti.
Da questa figura ha tratto spunto il sindaco, dott.ssa Simoni, per le conclusioni. Dopo aver ringraziato Enrica Domenicali per la sua elegante e competente narrazione, ha sottolineato la “bellezza” di Rina, di questa figura di donna che ha portato avanti i propri ideali, che ha usato la parola per dire e coinvolger; una donna che ha costruito qualcosa: perché le donne, una volta fissato l’obiettivo, sono in grado di centrare il bersaglio.
(CS)
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L’INTERVENTO DI GIOVANNI RAMINELLI
Grazie a voi che avete la pazienza di ascoltarmi, grazie all’Associazione ACS Berra, al Dott. Cavallina che mi ha coinvolto, un cordiale saluto all’amica Enrica Domenicali, e un pensiero riconoscente alla neonata Amministrazione Comunale che ci ospita.
Ben ricordo le celebrazioni del 2001 nel centenario dell’eccidio, e il convegno dominato dai prestigiosi interventi di Zangheri, Tampieri e Quarzi, convegno al quale venni invitato al fine di delineare e inquadrare quel tragico avvenimento nel più vasto contesto sociopolitico dell’allora mandamento copparese.
Un ponte unisce due sponde e consente di superare un corso d’acqua che spesso divide più che unire. Ponte Albersano avrebbe voluto essere tale. Ponte Albersano in modo figurato unì la sponda ferrarese e quella veneta. Calisto Desuò, 38 anni e padre di due figli, era di Villanova Marchesana. Avanzava alla testa dei braccianti col cappello in mano chiedendo di parlamentare. Di fronte a fucili spianati non era possibile altra azione che quella affidata, noi diremmo oggi, al dialogo, alla trattativa. Per tutta risposta il tenente diede l’ordine di sparare contro gli operai. Cadde il Desuò, caddero Cesira Nicchio di Berra, e ancora Fusetti di Berra, deceduto successivamente, ma vi furono anche tantissimi feriti oltre 50 tra gravi e meno gravi, e non 30 come vollero successive riduttive relazioni. Ponte Albersano: un luogo dove operai e braccianti, purtroppo inascoltati, avrebbero potuto colloquiare e confrontarsi con la controparte, insomma gettare un ponte fra opposte posizioni. I morti di Ponte Albersano avrebbero voluto che le giuste rivendicazioni del movimento operaio fossero stimolo, legame, sprone per ottenere dalla controparte padronale il riconoscimento di diritti inalienabili. Non fu così, nonostante proprio nel copparese, in Berra, in Cologna e a Serravalle fossero sorte da qualche tempo associazioni e leghe di impronta socialista, dedite fin da subito a proporre e a sostenere le prime agitazioni cominciate con moti spontanei di ribellione contro le tragiche condizioni lavorative e di vita.
Già nel 1889 era nata in Berra l’Associazione Cooperativa fra operai e braccianti del Basso Ferrarese e sempre in quell’anno era sorta in Serravalle una Associazione consorella, dieci anni più tardi prese vita una Società Cooperativa che coinvolse anche Cologna quasi prefigurando la nascita della futura municipalità. E le agitazioni persero la qualità di moti spontanei diventando sempre più guidate ed orientate da una più matura coscienza di classe sfociata nei grandi scioperi del 1897, del 1898 e del 1899. L’importanza delle manifestazioni di sciopero si può enucleare da alcuni dati che mettono a confronto la nostra zona con il resto della Penisola: si nota immediatamente la netta prevalenza del Ferrarese. Infatti, nel 1897 gli scioperanti delle nostre zone rappresentavano il 48% di tutti gli Italiani, nel 1901 (anno dell’eccidio) furono il 32%.
Gli echi dell’eccidio furono notevoli in tutta Italia anche alla camera e alla camera ci furono interventi di fuoco. Ci si accorse tardi, troppo tardi come assai di frequente succede nel nostro Paese, delle condizioni miserevoli in cui il padronato e i grandi latifondisti tenevano la classe operaia e bracciantile. Va detto che Ponte Albersano ha rappresentato lo spartiacque tra le conseguenze socioeconomiche e politiche indotte dalla trasformazione territoriale e umana della grande bonifica. Cioè, il contrasto tra gli interessi, gli enormi interessi, degli agrari e del grande latifondo e la smisurata e quasi inimmaginabile miseria delle classi popolari e bracciantili. Erano i tanti uomini e le tante donne che avevano visto nel processo della grande bonificazione una specie di El Dorado e speravano in un miglioramento di vita. Uomini e donne cui venne inibito il legittimo riconoscimento pieno di diritti inalienabili.
A poco era servito che qualche mese prima di Ponte Albersano, Giolitti avesse affermato in Parlamento (cito la frase traendola dagli atti parlamentari del 4 febbraio 1901): “Nessuno si può illudere di poter impedire che le classi popolari conquistino la loro parte di influenza economica e politica”.
L’illusione l’avevano avuta e l’ebbero ancora a lungo gli agrari e i grandi latifondisti accecati dagli enormi ricavi ottenuti nelle terre redente. Non così le masse sfruttate ma ogni giorno sempre più consapevoli di dover agire per ottenere quanto veniva loro negato. E badate: non si trattava solo di diritti (che oggi potremmo definire sindacali) ma anche di quei servizi che rendono un territorio degno di poter accogliere una popolazione operosa e solidale: scuole, strade praticabili, servizi sanitari, energia elettrica, ecc. ecc.
Se le lotte operaie e sindacali, culminate nell’eccidio di Ponte Albersano, portarono all’innalzamento dei salari, dobbiamo pure affermare che solo una minima parte dei molti problemi di queste zone vennero risolti nel breve volgere di qualche anno. Alla rinascita demografica e produttiva del territorio non corrispose appieno, se non ad un altissimo prezzo, la redenzione sociale ed economica della popolazione.
Diventò atto di necessità indifferibile la parcellizzazione delle municipalità in modo da razionalizzare i servizi e consentire un più puntuale soddisfacimento dei bisogni della popolazione. Si può dire che Ponte Albersano contribuì ad irrobustire la coscienza civica della popolazione proiettandola nel perseguimento di obiettivi di progresso e di miglioramento attraverso lo smembramento del vastissimo comune di Copparo. Il Comune di Berra, dunque, nato dal sangue di Ponte Albersano. Un sangue che ha dato inizio ad una nuova storia della nostra gente, una storia non ancora conclusa, per perseguire la quale idealmente le generazioni del passato e concretamente quelle odierne tendono la mano ai giovani nella speranza che sappiano essere sempre orgogliosi delle loro origini, e soprattutto di chi non ha esitato a spargere il proprio sangue per un domani migliore.
Giovanni Raminelli
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