14 novembre 1951.
Alle ore 19.45 l’argine maestro del fiume Po ruppe a Vallone di Paviole, in Comune di Canaro. Alle ore 20.00 si verificò una seconda rotta in località Bosco in Comune di Occhiobello. La terza falla si produsse poco più tardi, alle ore 20.15 circa, in località Malcantone dello stesso comune.
La sponda Ferrarese era salva da quell’eccezionale piena del grande fiume.
In quei tragici giorni, in quelle interminabili notti di paura, tutto fu messo in campo per evitare il dramma. Perfino gli ormai mitici e famosi “sacchetti pieni di terra”, ebbero parte importante nel contenimento delle acque sulla sponda ferrarese.
Ebbe tuttavia inizio una catastrofe di enormi proporzioni le cui ripercussioni si riflettono ancora oggi e hanno segnando per sempre la storia del Polesine. Fu essa infatti, per estensione delle terre allagate e per volumi d’acqua esondati, la più grande alluvione a colpire l’Italia in epoca contemporanea.
In pratica, circa 2/3 della portata fluente, anziché proseguire la sua corsa verso il mare entro gli argini del fiume, si riversò sulle campagne e sui paesi. Come peculiare effetto di ciò si produsse, immediatamente dopo le rotte, un repentino decremento del livello idrometrico del fiume, riscontrato nelle stazioni di misura di monte e di valle: tale fenomeno si definisce “effetto svuotamento”.
Il numero delle vittime umane è stato di circa cento unità. Ben 89 di queste nel solo episodio del cosiddetto “Camion della morte” che vide un automezzo, carico di fuggiaschi, sorpreso dall’inondazione la notte del 14 novembre a Frassinelle.
In frazione Passo, del Comune di Frassinelle Polesine (Ro), è visitabile il sacrario di San Lorenzo, piccolo cimitero dedicato alle 89 vittime.
Il numero dei profughi costretti a lasciare le proprie abitazioni fu compreso tra 180.000 e 190.000 unità. Andarono perduti 6.000 capi di bestiame bovino. Incalcolabile il numero degli altri animali d’allevamento travolti dalle acque e annegati.
Dal 1951 al 1961 lasciarono in modo definitivo il Polesine 80.183 abitanti, con un calo medio della popolazione del 22%. Al 2001 abbandonarono il Polesine oltre 110.000 persone. In molti comuni il calo superò, dal 1951 al 1981, il 50% della popolazione residente.
Un capitolo a parte merita la solidarietà, nazionale e internazionale, che si espresse nei confronti della popolazione polesana a seguito del tragico evento. Vi è da dire che subito al propagarsi della notizia della catastrofe, moltissime associazioni, partiti politici, sindacati, gruppi formali ed informali, privati cittadini di ogni condizione sociale e orientamento politico non mostrarono il minimo indugio ad attivarsi al fine di garantire la propria solidarietà e il proprio concreto aiuto alle popolazioni colpite. Complice l’ancora acceso ricordo delle tragiche circostanze e delle drammatiche condizioni di vita che contraddistinsero l’appena concluso evento bellico e la conseguente facile identificazione dei più nella difficilissima situazione, materiale e psicologica, in cui venivano a trovarsi gli abitanti del Polesine, la profusione di aiuti che l’Italia e il mondo elargirono fu straordinaria, commovente.
Essa si manifestò non solo nella raccolta di fondi e di beni a favore del Polesine ma anche e soprattutto nell’intervento diretto di moltissimi volontari che, abbandonate le loro case sicure, non indugiarono neppure un giorno a mettersi a disposizione, in prima persona, della macchina dei soccorsi. Inoltre, moltissime famiglie in tutta Italia aprirono le porte delle proprie case agli sfollati e ai profughi che poterono così trovare non solo un tetto sotto il quale rifugiarsi, ma anche una solidarietà umana diretta, non filtrata né mediata da apparati burocratici, ma immediata e concreta, fatta di volti e di persone.
(Liberamente tratto da Wikipedia)
Leonardo Peverati – 14 novembre 2015
Views: 170