100 ANNI
di Diego Cavallina
Credo non sia facile per noi, che viviamo in un relativo benessere, sia pure nel contesto di crescenti difficoltà per l’economia dei paesi occidentali, immaginare quali fossero le condizioni di vita e di lavoro nel nostro territorio solo 100 anni fa.
L’Italia era unita da 50 anni, e per questo era impegnata in celebrazioni importanti e spettacolari che esaltavano soprattutto il ruolo della monarchia sabauda. Nel contempo invadeva la Libia perché riteneva che non poteva essere da meno delle altre potenze europee che da tempo possedevano un vasto impero coloniale soprattutto in Africa e Asia, quindi voleva anche lei le sue colonie per sedersi alla pari ai tavoli della politica internazionale dopo le sconfitte militari subite qualche decennio prima nei tentativi di invasione dell’Etiopia (o Abissinia, come si diceva allora).
A Berra da poco più di un anno si era costituito il Comune autonomo, fino allora, da dopo l’unità d’Italia, insieme a Ro, Formignana e Jolanda di Savoia (allora si chiamava “Le Venezie”), faceva parte del più vasto Comune di Copparo.
I cinquant’anni trascorsi dall’unificazione del Regno avevano visto il nostro territorio interessato da un fenomeno storico unico e irripetibile, cioè le bonifiche delle valli dolci o salmastre che dalla sponda destra del Canal Bianco andavano in vario modo fino al mare.
Una enorme area di acque, acquitrini, paludi, improduttiva e infestata dalla malaria, abitata da piccoli gruppi di diseredati con una economia di sussistenza e in perenne miseria, era stata trasformata in enormi distese di terra nella quali le prime colture promettevano di far diventare quelle zone fiorenti e rigogliose.
Si era trattato di uno sforzo tecnico e culturale di enorme rilievo, la scienza idraulica dei bonificatori italiani (e anche europei, soprattutto olandesi), compresi vari scienziati ferraresi, aveva dato il massimo delle proprie competenze, nel contempo erano occorsi investimenti di grandi capitali, forniti da nuove società capitalistiche italiane ed europee, a volte costituitesi “ad hoc”, che avevano comunque usufruito di ingenti quantità di danaro attraverso sovvenzioni pubbliche.
Per questi lavori di bonifica era stato necessario richiamare da tutte le regioni vicine numerosi operai, il lavoro non mancava, anche se le condizioni erano durissime, quasi tutti gli scavi si facevano a mano con vanghe, pale e palotti e “carriole” per trasportare, affondati nel fango e nell’acqua milioni/miliardi di metri cubi di fango. Erano “gli scarriolanti” della tradizione popolare e pressoché noi tutti siamo i discendenti di questi eroici lavoratori.
Conclusi i lavori della bonifica idraulica era iniziata la messa a coltura dei campi, che non aveva più bisogno di tutti quei lavoratori, e soprattutto aveva bisogno di forza-lavoro solo per brevi periodi dell’anno, ecco che le grandi masse bracciantili che si erano insediate nei paesi situati “in gronda” alla terre “di valle” (come ancora qualcuno ricorda che venivano chiamate le terre di bonifica) diventano esuberanti rispetto alle possibilità di lavoro.
Miseria, malattie, stenti, fame, sfruttamento da parte delle grandi società agrarie, analfabetismo, erano le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione, e in queste condizioni la volontà di ribellione e di lotta per far valere i propri diritti si diffonde come in tutte le zone del paese soggette a conflitti di classe, nel ferrarese e in particolare nel copparese, le organizzazioni politiche e sindacali dei lavoratori aderiscono ben presto all’ala più intransigente, allora denominata anarco-sindacalismo .
In un clima di questo genere è proprio a Berra, esattamente a Ponte Albersano, che scoppia il fatto più sanguinoso. Il 28 giugno 1901 l’esercito regio spara sui lavoratori in sciopero, sul terreno restano due morti, un terzo morirà a distanza di tempo per le conseguenze delle ferite.
Berra era allora parte dell’Arcidiocesi di Ravenna, insieme a tutti i paesi “in gronda”, Coccanile, Ambrogio, Cologna e Serravalle, era la cosiddetta “Pentapoli”, che dopo il trattato di Vienna del 1815 e il consolidamento dei confini tra lo Stato Pontificio e l’Impero Austriaco del Lombardo-Veneto, l’Arcivescovo di Ravenna aveva ottenuto dal Vescovo di Adria, cedendogli le sue parrocchie attorno a S. Apollinare di Rovigo (toponimo quanto mai ravennate). Lontana dalla sede vescovile, isolata in un territorio tra la diocesi di Ferrara e quella di Comacchio, era amministrata da sacerdoti romagnoli, che facevano del loro meglio per alleviare le condizioni di vita dei loro parrocchiani, predicando, senza grande successo, la concordia sociale (la “Rerum Novarum” era di pochi anni prima), forse si sentivano in terra di missione e quindi si concentravano sulla predicazione e sulla educazione.
Non bisogna pensare che la situazione fosse tutta negativa, la classe dirigente puntava su un rilancio della società, come d’altronde in tutto il paese, siamo all’inizio della cosiddetta “era giolittiana” che comunque vedrà un impegno di rinnovamento.
D’altronde anche gli amministratori copparesi, di cui facevano parte anche i berresi, penso ai fratelli Spisani di Cologna o ad Amedeo Baruffa di Berra, di solito appartenenti ai partiti filogovernativi, erano impegnati in un progetto di rilancio dell’economia e della società, basti pensare che proprio all’inizio del nuovo secolo viene inaugurata la ferrovia Copparo-Ferrara oppure viene aperto l’Ospedale Civile “San Giuseppe”, anche l’educazione viene considerata sia dalle forze cattolico-moderate, sia da quelle socialiste uno strumento fondamentale per l’innalzamento delle condizioni della popolazione. Nel Comune di Copparo la scuola elementare pubblica e gratuita si diffonde in tutte le frazioni e serve a ridurre il livello di analfabetismo, che pure resta altissimo.
In questo contesto la Chiesa incomincia a pensare all’apertura di scuole per l’infanzia, gli asili infantili, come si diceva allora, per dare una prima educazione ai figli delle popolazioni, anche più diseredate, un luogo di custodia e sicurezza, di socializzazione, e nel contempo per impartire (ovviamente) i primi elementi di vita cristiana comunitaria. Era anche un esempio concreto di servizio anche verso quelle fasce della popolazione a volte ostili alla Chiesa.
Dal 1902 la parrocchia di Berra era retta da un sacerdote di origine berrese, don Angelo Strani, era stato inviato nella sua terra natia d’allora Arcivescovo Guido Maria Conforti, gli Strani erano una famiglia profondamente legata alla comunità, don Angelo vorrà ricordare la figura del padre e del fratello nella epigrafe dedicatoria dell’altare maggiore, un fine lavoro marmoreo, che donerà più avanti alla sua Chiesa di formazione, abbattuto il vecchio tempio, ora è stato sistemato nella cappella sinistra della nuova chiesa ed attualmente è l’altare del SS. Sacramento.
La sua idea di fondare un asilo per l’infanzia si fa strada, nella coscienza che la popolazione non può essere lasciata a se stessa, che la gioventù ha bisogno di guide e di orientamenti, che vanno sostenute le esigenze spirituali, ma insieme a quelle materiali, così carenti nella stragrande maggioranza dei suoi parrocchiani. Immagino aiutato dai suoi superiori, dai confratelli e da parte della popolazione, nel marzo del 1911 posa la prima pietra dell’opera che ancora oggi è dedicata alla sua memoria, viene scelto un terreno di proprietà della parrocchia adiacente all’abside della chiesa di allora, fino a quel momento adibito a cimitero. Anzi i primi lavori sono quelli di estumulazione dei resti mortali, che vengono depositati nell’area dell’attuale cimitero che il nuovo Comune ha deciso di costruire, esattamente nella zona retrostante il Municipio.
Non siamo in grado di dire quale fosse la compartecipazione della nuova amministrazione comunale all’opera, forse un anno di vita era troppo poco per poter pensare ad una collaborazione concreta, comunque “l’operazione cimitero” va letta anche in quest’ottica, cioè di uno sforzo comune per la valorizzazione della nuova autonomia comunale, tanto più che l’asilo parrocchiale di Berra fu il primo a nascere nell’intera Arcidiocesi di Ravenna e uno dei primi nelle nostre zone.
Don Angelo prima di partire con un impegno così gravoso per la nostra piccola comunità si era assicurato la collaborazione della congregazione delle suore di don Luigi Guanella (Figlie di Santa Maria della Divina Provvidenza) una grande figura di “santità sociale” di cui è piena la storia religiosa dell’ottocento soprattutto piemontese e lombardo, una congregazione dedicata totalmente all’educazione dell’infanzia e alla cura degli anziani e dei disabili anche gravi e gravissimi, a Fratta Polesine, non lontano da noi avevano aperto una casa
esemplare nella cura degli anziani e dei disabili, un piccolo “Cottolengo” locale e la loro opera era già considerata particolarmente meritoria.
In pochi mesi il nuovo edificio fu costruito e nell’ottobre del 1911 (neppure otto mesi dall’inizio) viene inaugurato e don Luigi Guanella viene a Berra accompagnando le prime tre suore, suor Angela Tornielli, suor Ines Lotti, suor Rosa Brambilla, che subito inizieranno il loro apostolato tra i bimbi di Berra.
Le suore “guanelliane”, che in seguito prenderanno in gestione anche l’asilo di Cologna, svolgeranno la loro opera per circa 90 anni, fino all’inizio del secolo attuale, la scuola è ancora felicemente in funzione, grazie all’impegno della parrocchia, delle insegnanti laiche e dei genitori, e grazie alla convenzione col Comune, con la cui storia quasi si identifica.
E per culminare questo periodo di celebrazioni centenarie, appunto il Comune del 1910 e la scuola materna del 1911, quest’anno vedrà anche la proclamazione della santità dei due religiosi la cui opera è legata alla nostra scuola, mons. Guido Maria Conforti, l’Arcivescovo di Ravenna che inviò a Berra Mons. Angelo Strani, e che poi fonderà la Congregazione dei Missionari Saveriani, e don Luigi Guanella il santo fondatore delle “nostre suore”. Entrambi saliranno agli onori degli altari il 23 ottobre prossimo in San Pietro ad opera di Papa Benedetto XVI.
Forse una coincidenza, forse un “mirabile intreccio di santità” come l’ha già definito qualcuno.
Diego Cavallina
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