

Serravalle – A breve il ponte sarà distrutto, demolito. Sarà una questione di giorni, forse di ore, e poi scomparirà per sempre, per lasciare il posto ad un nuovo manufatto, più bello, più “tecnologico”. Per qualcuno però quel ponte rappresenta qualcosa. E come tutte le cose “vecchie” ha qualcosa da raccontare. Pietropoli, così si chiama, ma anche “dal sgnor Checo”. Entrambi i nomi sono giusti. Ma per saperne di più abbiamo chiesto allo storico locale, Prof. Giovanni Raminelli, di illustrarci le vicende relative al ponte sul Canal Bianco, con un approfondimento anche relativamente agli altri manufatti che nel corso di alcuni secoli hanno consentito il transito da una sponda all’altra del canale.
“La ricostruzione del Ponte Pietropoli sul Canal Bianco da tutti conosciuto come “Al Pónt dal sgnór Chéco” ha portato molti a chiedersi il perché di “Ponte Pietropoli” ed anche della sua specifica denominazione dialettale. Dirò subito che i Pietropoli, originari del Polesine veneto, sono stati presenti in modo deciso nelle vicende storiche del nostro paese specialmente nel periodo compreso tra la seconda metà del 1700 e i primi anni del Novecento. In particolare, molti documenti archivistici e notarili danno per certo l’insediamento di tale famiglia non solo a Serravalle ma anche a Santa Maria in Punta e, soprattutto, a Papozze.
I Pietropoli furono imprenditori agricoli e commercianti ed ebbero a godere di uno status sociale che li poneva in piena concorrenza con altre famiglie benestanti della zona legate all’agricoltura e al commercio (Capatti, Cavalieri, Biolcati, Benazzi). Da rilevare anche la loro autorevole presenza nel mercato dei laterizi. Sappiamo da mappe catastali del 1835 conservate presso l’Archivio di Stato di Ferrara, della esistenza in Serravalle di due fornaci: quella di proprietà Cavalieri e, dirimpetto, l’altra della famiglia Pietropoli, entrambe situate nella zona golenale di Serravalle quasi a fronte della divisione del Po nei rami di Venezia e di Goro. Ciò agevolò di sicuro l’impegno dei Pietropoli e dei Biolcati (proprietari di molti ettari di terra nelle terre verso il Fienilone, le Donnine e il Dosso Marianti) nella costruzione ottocentesca del ponte in mattoni sul Canal Bianco. Naturalmente non l’attuale, ad una sola luce, bensì quello originario che di luci ne aveva tre e che agevolava il transito di operai agricoli, carri e bestiame dal paese verso i campi e viceversa tanto per i lavori stagionali che per i raccolti. Naturalmente il ponte aveva pure la funzione di consentire il passaggio di uomini e carri da e per Ariano sfruttando la strada arginale sul Canal Bianco.
A Serravalle tre furono i personaggi di rilievo della famiglia Pietropoli. Il primo, decisamente di spicco, fu Angelo, che troviamo fra i testimoni nel testamento del 13 aprile 1796 del cappellano don Formoso Desuò. Egli ricoprì anche la carica di massaro dell’altare della Beata Vergine Maria, dal 1800 al 1801 (compreso) e, già molto anziano, della prima chiesa abbaziale di Serravalle dal 1826 al 1827 (compreso). Il prestigio e le capacità del Pietropoli lo portarono anche a ricoprire la carica di anziano della “comune” come attestato in una lettera presente nell’archivio di Casa Giglioli del 15 giugno 1823, ove, fra l’altro, si fa menzione di alcuni possidenti serravallesi, quali punti di riferimento per le questioni civili e religiose (Benazzi, Capatti, Chiavieri, Turatti, Soldati).
L’altro fu Antonio, che divideva il suo impegno tra Papozze e il negozio di merce varia sito nella casa di proprietà che sorgeva sul lato est della vecchia piazza di Serravalle. Quando decise di cessare l’attività, ormai pienamente avviata, quasi in concorrenza, sul lato sud della pubblica piazza a cura della famiglia Chiavieri-Spadoni, Antonio decise di cedere lo stabile al cardinale arcivescovo di Ravenna mons. Chiarissimo Falconieri (rogito del notaio Luigi Ferrarini del 25 aprile 1838) affinché vi si ricavasse la casa canonica, dato che in quel tempo risultava essere in precarie condizioni lo stabile annesso alla chiesa. A distanza di trent’anni dalla donazione, l’abate don Angelo Malandri la cedette all’allora Comune di Copparo che vi avrebbe ricavato le scuole elementari e la sede del Quartiere Nazionale. Tale cessione venne effettuata con in cambio l’impegno della municipalità a costruire ex novo la canonica e la chiesa di Serravalle. Il sacro edificio, a quei tempi, risultava in precarie condizioni e, con provvedimento governativo, era stato interdetto nell’uso, tanto che per vari anni i riti religiosi vennero celebrati nella cappella del cimitero.
(PRIMA PARTE – continua)
Views: 105